venerdì 28 settembre 2012

TRATTAMENTO ECONOMICO AI POLITICI REGIONALI: TOGLIAMO ALLE REGIONI LA COMPETENZA A QUANTIFICARLO PER RIASSEGNARLA ALLO STATO.



Le cronache di questi giorni hanno posto sotto i riflettori le spese eccessive e non sempre oculate per il funzionamento degli Organi politici delle 20 Regioni italiane.
Poiché dai dibattiti televisivi non sempre  è emersa una approfondita  conoscenza delle vere cause che hanno provocato questa situazione che i fatti della Regione Lazio hanno evidenziato in tutta la sua drammatica esplosività, mi sia consentito fare qualche riflessione sulla situazione giuridico normativa  attualmente applicabile alle 15 regioni a Statuto ordinario. Quelle a Statuto speciale (5) meritano un discorso a parte.
La Costituzione del 1948 prescriveva che  il trattamento economico dei Consiglieri Regionali venisse  determinato con legge statale.
Nel 2001 viene modificato, con la legge costituzionale n. 3/2001,  il Titolo V° della Costituzione che disciplina le Autonomie locali. Uno degli aspetti più significativi della riforma riguarda il potere legislativo delle Regioni che viene ampliato di molto rispetto alla Costituzione del 1948.  Grazie a questo ampliamento di poteri, dal 2001 sono le singole Regioni, ad es.,  a determinare in assoluta autonomia  il trattamento economico dei titolari degli Organi Regionali ( Presidente, Assessori, Consiglieri Regionali).
La riforma del 2001 se da una parte assegna alle Regioni la determinazione del suddetto trattamento economico, riserva però allo Stato, con gli articoli 117 e 119 il compito di “armonizzazione e coordinamento della finanza pubblica”.
Si tratta, a questo punto di capire, sulla base del pensiero della  Corte Costituzionale, espresso in occasione delle pronunce su quelle norme che all’interno delle varie leggi finanziarie dettavano disposizioni tese a “coordinare la finanza pubblica”, cosa possa significare tale locuzione.
Lo spieghiamo ricorrendo ad un caso concreto:
con la legge finanziaria del 2006 (legge 23.12.2001, n. 266) il Governo  riduce  del 10%, “per esigenze di coordinamento della finanza pubblica”, gli emolumenti di coloro che rivestono cariche pubbliche elettive. La finanziaria ha come destinatari anche le Regioni.
La Regione Campania impugna questa legge  dinnanzi alla Corte costituzionale la quale con la sentenza n. 157/2007 dà ragione alla Campania e, di conseguenza, annulla questa riduzione perché  pone un precetto specifico e puntuale, comprimendo l’autonomia finanziaria regionale ed eccedendo dall’ambito dei poteri statali in materia di coordinamento della finanza pubblica”.
Secondo la Corte costituzionale lo Stato, quale coordinatore della finanza pubblica, “può prescrivere criteri e obiettivi ( ad es. per il contenimento della spesa pubblica) ma non può imporre alle Regioni minutamente gli strumenti concreti da utilizzare per raggiungere quegli obiettivi”, e ciò al fine di evitare una “indebita invasione dell’area riservata dall’art. 119 della Costituzione alle Autonomie regionali”:
Secondo la Corte costituzionale:
-  lo Stato può ridurre i trasferimenti alle Regioni,  ma non può però individuarle spese da tagliare.  Tale individuazione spetta alle singole Regioni.
 -  Se  l’importo complessivo del bilancio regionale, regolarmente approvato, è tale da rispettare la norma statale di coordinamento della finanza pubblica, le variazioni al bilancio effettuate all’interno di quest’importo complessivo  rientrano nell’esclusiva competenza dell’autonomia regionale e quindi non sono sindacabili dall’esterno. Possono essere, ad es, prelevati 100.000 € dal capitolo dei trasporti per incrementare un altro capitolo senza che nessuno dall’esterno possa sindacare tale scelta. Diversamente facendo verrebbero imposti minuti e concreti strumenti operativi alla Regione; un’imposizione che è vietata dalla vigente Costituzione, così come confermato dalla Corte costituzionale.
Nel caso della Regione Lazio, stando alle cronache di questi giorni, le variazioni di bilancio consistevano nel trasferimento di risorse dal capitolo dell’assistenza al capitolo dei fondi da assegnare ai gruppi consiliari, senza comunque variare l’importo complessivo del bilancio.
Ecco: questo è un altro scandalo!. Pensavamo che il finanziamento ai Partiti fosse statale, invece ora veniamo a sapere che i Partiti ricevono (il finanziamento dei gruppi consiliari altro non è che un ulteriore, vero e proprio finanziamento dei Partiti in aggiunta a quanto già ricevono dallo Stato)
anche finanziamenti regionali!.
E’ certamente  deplorevole e moralmente da condannare ma, alla luce dell’attuale Costituzione, il comportamento della Regione Lazio e di tutte le altre Regioni che ricorrono a tali espedienti  è stato in linea con la Costituzione del 2001 e con l’interpretazione che ne ha dato la Corte costituzionale.
Bisogna acquisire consapevolezza che la situazione non è più sostenibile e che il Titolo V° della Costituzione è da rivedere ripristinando la situazione ante riforma 2001.
Bisogna cioè riassegnare allo Stato la competenza di determinare il trattamento economico dei titolari degli Organi politici regionali (Presidente, Assessori e Consiglieri).

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