Agli Amici del Circolo della
Concordia
Oggetto: SCOMUNICA PER CHI
ADERISCE AL PARTITO COMUNISTA?
Assumiamo ad oggetto del
presente scritto l’indagine tesa a verificare se, a carico di coloro che si
professano convintamente comunisti, operi ancora - ai sensi del vigente Codice
di diritto canonico - l’istituto della “scomunica”.
La verifica sarà condotta
prendendo in esame:
-il Decreto del Sant’Uffizio
dell’1 luglio 1949;
- l’istituto della scomunica;
-il
principio del “nullum crimen sine lege” in generale;
-il
principio del “nullum crimen sine lege”
nel nuovo Codice di diritto canonico;
-l’opinione di due autorevoli
teologi sul tema che qui ci accingiamo ad esaminare.
IL DECRETO DEL
SANT’UFFIZIO DELL’1 luglio 1949
Il I° luglio 1949, quindi in pieno
dopoguerra, quando ancora non erano state ancora del tutto rimarginate le ferite della guerra civile, che
aveva insanguinato parte della penisola e lasciato sul campo decine di migliaia
di vittime il più delle volte innocenti (vedi i volumi di ricerca storica sul
tema, scritti dal giornalista di Casale
Monferrato (AL) G. Pansa e dal Prof. S. Luzzato, docente all’Università di
Torino), la Congregazione del Sant’ Uffizio - ora denominata Congregazione per la
Dottrina della Fede – veniva chiamata ad affrontare il tema della compatibilità tra il
professare la fede cristiana e l’adoperarsi attivamente nella diffusione
dell’ideologia comunista.
Il Sant’Uffizio, dopo aver
dichiarato esplicitamente l’assoluta inconciliabilità tra l’essere cristiani e
il propagandare l’adesione al partito
comunista, la cui dottrina allora
per statuto propugnava espressamente l’ateismo, proseguiva affermando che coloro che militavano nel Partito Comunista
Italiano condividendone l’ateismo incompatibile con la fede cristiana
incorrevano “ipso facto” nello scomunica.
Togliatti, da pragmatico qual era,
qualche anno dopo propose ed ottenne la modifica dello statuto del partito comunista
eliminando la disposizione che imponeva che per essere comunisti bisognava
essere anche atei. Un’osservazione ci sia consentita: con l’operazione
togliattiana l’ateismo più che venire espunto dall’ideologia comunista, veniva
ad essere definito un’opzione facoltativa ai fini dell’iscrizione al Partito
Comunista Italiano.
SCOMUNICA:
Che cos’è la scomunica?
Il vigente Codice di diritto
canonico non ci fornisce alcuna definizione della scomunica. Spetta, di
conseguenza alla dottrina e alla giurisprudenza fornirci una formula
definitoria. Ce la fornisce, tra gli altri, il Dalla Torre il quale definisce
la scomunica “una sanzione penale appartenente alla categoria delle censure o
pene medicinali che in quanto tale ha una finalità eminentemente emendativa o
correzionale…”(1)
Relativamente agli effetti
della scomunica in capo alla persona cui la scomunica è stata inflitta, sempre
il Dalla Torre ci dice che la scomunica
“..comporta l’interdizione dell’esercizio dei diritti e dei doveri
espressamente previsti dal codex, inerenti alla condizione giuridica del
battezzato. In particolare essa comporta la privazione dei beni spirituali
della Chiesa costituenti oggetto della
comunione ecclesiastica” (2).
Da osservare come nel nuovo
Codice del 1983 la scomunica perda il carattere di “sanzione ordinaria” per acquisire, invece, il carattere
di una “sanzione penale eccezionale”.
Il tutto trova una sua logica
spiegazione se teniamo conto che:
-il Sinodo dei Vescovi
tenutosi in data 7/10/1967 approvava
dieci “principi guida” per la
revisione del Codice;
-i componenti della
Commissione facendo propri, da parte loro, questi criteri fanno della scomunica
una sanzione estrema cui fare ricorso solo in
pochi ed estremi casi.
Tra questi “principi guida” sono da
segnalare ai fini del nostro discorso:
- il 3°: “equità nell’applicazione e nella
legislazione, per far emergere il carattere pastorale
del diritto della Chiesa;
-il 9°: “mantenere il diritto
penale, ma con generale riduzione delle sanzioni canoniche”
Sotto questo profilo, indicativo
risulta essere il canone 1318 il quale dispone che il “legislatore non costituisca censure, soprattutto la
scomunica, se non con la massima moderazione e soltanto contro i delitti più
gravi”.
NULLUM CRIMEN SINE LEGE.
Con questa formula viene
indicato il principio per quale un soggetto non può essere chiamato a
rispondere penalmente di un fatto dallo stesso commesso, se questo non è
previsto come “fatto illecito” penalmente rilevante direttamente ed
espressamente dalla legge. Ecco perché tale principio è definito di “stretta legalità”: non può esserci reato se non è
espressamente previsto dalla legge.
E’ vietato, in forza di questo
principio ogni intervento arbitrario del giudice penale che è soggetto, anche
lui, alla legge.
Nell’ordinamento italiano tale
principio è addirittura costituzionalizzato: leggiamo, infatti, al 2° comma
dell’art. 25 della vigente Costituzione che “nessuno può essere punito se non
in forza di una legge che sia entrata in vigore prima del fatto commesso”.
Il comma 3° dello stesso
articolo dispone inoltre che “nessuno può essere sottoposto a misure di
sicurezza se non nei casi previsti dalla legge”.
Tale divieto lo troviamo anche nell’articolo 14 del Codice Civile
(Preleggi) il quale così dispone in proposito: “le leggi penali e quelle che
fanno eccezione a regole generali o ad altre leggi non si applicano oltre i
casi e i tempi in esse considerati”
Il principio di “stretta legalità” viene a costituire
una garanzia per i cittadini ai quali viene assicurato, addirittura dalla
stessa Costituzione, che non potranno giammai essere puniti se non nei casi
preventivamente ed espressamente previsti dalla legge: ecco perché questo
principio è stato costituzionalizzato in tutti gli ordinamenti di ispirazione
democratica dell’ultima generazione approvati dopo il secondo conflitto
mondiale. Ovviamente tale principio è stato introdotto anche nei codici di
diritto penale e nel nostro Codice addirittura nei primi due articoli.
NULLUM CRIMEN SINE LEGE NEL
NUOVO CODICE DI DIRITTO CANONICO.
Premesso tutto ciò, abbiamo da
affrontare un ulteriore passaggio, consistente nell’esame del vigente Codice di
Diritto canonico, per verificare quale contributo possa fornirci nella
formulazione della nostra risposta alla domanda iniziale.
Possiamo definire il suddetto
Codice come l’insieme delle disposizioni attraverso le quali la Chiesa
cattolica
regola l’attività dei fedeli e
delle strutture ecclesiastiche (si pensi, ad es., all’attività Curia Romana, delle
Diocesi e delle Parrocchie dislocate sul territorio).
Il vigente Codice, promulgato
dal Pontefice Giovanni Paolo II° il 25 gennaio 1983, è entrato in vigore il 27
novembre 1983.
E’ un Codice alla redazione
del quale aveva pensato il Pontefice Giovanni XXIII° allorquando il 25 gennaio
1959, nell’annunciare di aver maturato l’intenzione di convocare un Concilio
ecumenico, manifestò anche la necessità che si procedesse alla revisione del
Codice allora in vigore che risaliva al 1917.
La Commissione pontificia, che
avrebbe provveduto alla relativa redazione, venne istituita solamente nel 1963
ma iniziò a lavorare dopo la conclusione
del Concilio; e ciò perché il nuovo Codice, si disse, recepisse e venisse redatto tenendo anche
conto delle decisioni conciliari. Non a caso l’allora Pontefice Giovanni Paolo
II° qualche mese dopo la sua promulgazione raccomandava di leggere il Nuovo
codice congiuntamente ai documenti conciliari.
Ebbene, relativamente alla
scomunica ai comunisti citata nei punti precedenti, dobbiamo osservare che né tra gli atti ufficiali del
Concilio Vaticano II°, né nel nuovo Codice troviamo un’esplicita condanna del Comunismo,
né tanto meno qualche richiamo alla scomunica nei termini di cui al Decreto del
Sant’Uffizio del 1949. Come mai? La risposta è nei seguenti termini:
Durante lo svolgimento dei
lavori conciliari, sul tema si confrontarono due scuole di pensiero: la prima
chiedeva di rinnovare la condanna del comunismo, la seconda, invece, ispirata e
confortata dallo stesso Pontefice Giovanni XXIII° ( il Papa buono), era
orientata verso una linea di dialogo e apertura alla nuova realtà comunista
incarnata da Nikita Kruscev, il comunista dal volto umano. Fu così che una
petizione di condanna al comunismo, presentata il 9/10/ 1965 da 454 Padri
conciliari di 86 diversi Paesi, non
venne neppure trasmessa alle Commissioni che stavano elaborando un schema di
documento da presentare all’Assise conciliare.
E fu così che nei documenti
approvati dall’Assemblea conciliare venne di fatto a mancare una qualsiasi
forma esplicita di condanna verso il
comunismo.
A sua volta neanche la
Commissione pontificia, incaricata della redazione del nuovo Codice, visto il
silenzio tenuto dal Concilio sul tema in questione, affronta
il tema.
Quali le possibili conseguenze che possiamo trarre
da questo duplice silenzio?
-Possiamo sostenere che poiché
il Nuovo Codice di Diritto canonico del 1983 regola interamente la materia
della scomunica, è da applicarsi il principio secondo cui “quando la nuova legge detta nuove regole (rectius: detta una nuova
disciplina) su una materia già regolata
in precedenza, ciò comporta l’abrogazione
della precedente norma giuridica non inclusa nella nuova regolazione”.
-Non possiamo, ancora, non ricordare il sempre attuale brocardo
medioevale secondo cui “ ubi lex voluit
dixit, ubi noluit tacuit”. Trattasi di un principio che ancor oggi
appartiene al patrimonio comune del diritto. Esso impedisce che si faccia dire
alla legge ciò che la legge non ha mai detto, che cioè le si fornisca
un’interpretazione analogica. Tipo di interpretazione, questo, che il nostro ordinamento esclude in materia
penale perché incompatibile con l’esigenza della certezza del comando penale.
Tale esclusione trova riscontro oltre che nel già citato articolo 25 della
Costituzione, anche nell’articolo 14 del Codice Civile (Preleggi).
CONCLUSIONI
Nel nostro caso con l’entrata in vigore del Nuovo Codice cessa di essere in
vigore, viene cioè cancellato dall’Ordinamento della Chiesa Romana il Decreto
della Congregazione del Sant’Uffizio pubblicato l’1/7/1949.
La tesi secondo cui il
Decreto del 1949 non sia più operativo
(rectius: in vigore) poggia, altresì, su queste ulteriori due considerazioni:
- il libro I° del nuovo
Codice, denominato “Norme Generali” , dispone al paragrafo I° del Canone 6
quanto segue: “ entrando in vigore questo Codice sono abrogati:
1° il Codice di Diritto
Canonico promulgato nell’anno 1917;
2° anche le altre leggi, sia
universali sia particolari, contrarie alle disposizioni di questo Codice, a
meno che non sia disposto espressamente altro circa quelle particolari;
3° qualsiasi legge penale, sia universale sia
particolare emanata dalla Sede Apostolica, a meno che non sia ripresa in questo
stesso Codice;
4° così pure tutte le altre
leggi disciplinari universali riguardanti materia, che viene ordinata
integralmente da questo Codice.
Trattasi di norma che
recepisce il principio “nullum crimen sine lege”.
Il canone 18 dispone, da parte
sua, che” le leggi che stabiliscono una pena, o che restringono il libero
esercizio dei diritti, o che contengono un’eccezione alla legge, sono sottoposte
a interpretazione stretta”.
Una disposizione, questa, che
riproponendo un chiaro richiamo all’articolo 14 del nostro Codice Civile
(Preleggi) pone un chiaro ed esplicito
divieto al ricorso dell’interpretazione analogica, nei casi in esso
elencati.
b) il canone 1313 dispone a
sua volta:
§1. “se dopo che il delitto è
stato commesso la legge subisce mutamenti, all’imputato si deve applicare la
legge più favorevole.
§2. “che se una legge posteriore elimina la legge,
o almeno la pena, questa cessa immediatamente”.
Stante il tenore letterale
delle disposizioni sopra riportate il
nuovo Codice azzera tutto il diritto penale che lo precede; costituisce una
sorta di “punto zero” del diritto penale canonico. Constatato, altresì, che né
i canoni del Codice vigente, né altri
successivi interventi da parte del Magistero della Chiesa Romana hanno
reiterato la scomunica in questione, essa risulta, a parere di chi scrive, abrogata.
Il presente parere è stato
formulato, sulla scorta del Nuovo Codice di Diritto Canonico, tenendo conto
esclusivamente dell’aspetto giuridico del problema ed escludendo nel contempo
qualsiasi esame concernete l’aspetto teologico dello stesso.
Riteniamo, infine,
sottoporre alla riflessione dei lettori il pensiero di due autorevoli
ecclesiastici
sul tema sin qui esaminato.
-Il primo ci fa comprendere
il clima che si respirava in seno al
Concilio Vaticano II° e che avrebbe poi ispirato la Commissione pontificia
incaricata della redazione del nuovo Codice di Diritto canonico;
-il secondo, da parte sua,
fotografa gli effetti provocati dall’abbattimento
del muro di Berlino anche sulla politica italiana, sui partiti e sui loro
protagonisti.
a)- Il cardinale
Ottaviani in un’intervista al settimanale Gente (13/4/1966) afferma che “…a
proposito del Decreto del Sant’Uffizio c’è stata molta confusione. Bisogna
infatti ricordare che la scomunica si applica a coloro che professano dottrine
marxiste, non a coloro che aderiscono sic et simpliciter al partito Comunista.
Chi vota per i comunisti o è iscritto al partito, ma non aderisce al
materialismo dialettico non è scomunicato. In Italia molte persone non sanno
niente di marxismo, vanno in chiesa, credono in Dio e votano per i comunisti.
Essi non sono scomunicati. Però commettono un’azione illecita, cioè peccano.
Il confessore ha l’obbligo di
avvertirli del loro errore e, se insistono, negare loro l’assoluzione, come per
qualunque altro peccato di cui il fedele non si pente e che non si propone di
non commettere”
b)- Il gesuita Padre Giuseppe
Pirola scrive, da parte sua, che “la scomunica di Pio XII° non colpiva tutti i
comunisti, ma chi militava nel P.C.I. condividendone
l’ateismo incompatibile con la fede cristiana, motivo non unico ma vero della
scomunica è tacitamente decaduta fin dai tempi di Giovanni XXIII°.
Oggi, dopo la svolta di
Occhetto, a Bologna da P.C.I. a P.D., proseguita da D’Alema ecc., la sinistra
non si proclama più comunista (leninista, stalinista, eredità pesante da
reggere; il comunismo è caduto insieme
all’U.R.S.S.) e nemmeno è più
marxiana fuori in tutto il mondo (“Contrordine compagni Marx è morto”). La
sinistra italiana di Cossutta e Diliberto è pannelliana, e anziché compattamente
atea, è anticlericale…Neanche il movimento della Sinistra europea (Vinci, Agnoletto, Punto Rosso ecc.) non si
proclama né marxiano, né marxista, né comunista, ma socialista….”
Note
1, 2) G. Dalla Torre, voce
Scomunica, in Enciclopedia del Diritto, Giuffré , Milano vol. XLI, pagg. 759 e
segg..
Versione provvisoria.
Agli amici iscritti al Circolo
della Concordia
Prof. Vezio.
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